sabato 20 ottobre 2007

La mostra del COMITATO DI SALUTE PUBBLICA di Haris Papoulias

“Non posso immaginare nel sapere
Che una sola beatitudine, questa:
diventare quello che inizia.
Uno che scrive la prima parola dietro
Un punto di sospensione lungo interi secoli”
 
R.M. Rilke, Appunti sulla melodia delle cose.


“Non credo che sia mai stata questione di essere figurativi
o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio
e a questa solitudine, di dilatare il petto e tornare a respirare.”
 
Mark Rothko, De romantics were prompted.



“Porre fine a questo silenzio” è uno degli obiettivi impliciti nel Comitato di Salute Pubblica . In qualche modo è la prima conseguenza della nostra volontà comune di aprire gli occhi contro il sole e vedere l’idea realizzarsi come si realizza il regno della luce: onnipresente e immateriale: non visibile ma condizione della visibilità stessa.
Come argonauti su quest’ “Argo da i mille occhi”, qual’è sempre stata l’Arte, guardiamo attraverso i molteplici punti di vista adoperando i materiali e le modalità più varie: in questo senso i nostri filosofi sono artisti; ma nonostante ciò, dietro e prima di tutto scorgiamo l’Unità dell’unità e della differenziazione: in questo senso i nostri artisti sono filosofi.
All’origine del nostro corpo collettivo, non potevamo non occuparci dell’Origine stessa: è proprio qui che scorgiamo l’infinita solitudine di chi vuol creare.
In rapporto alla nostre opere fummo soli, immersi nel silenzio dell’unità con il nostro sé. Con l’atto della nostra creazione abbiamo posto fine alla solitudine, abbiamo pronunciato la prima parola, ci siamo negati.
In rapporto alla totalità delle opere del mondo che ci circondano siamo perfettamente soli perché abbiamo abbracciato tutte le nostre negazioni con il pensiero:siamo affermati nella nostra negatività.
Le nostre creazioni non sono opere sovrumane ma non per questo affini all’arbitrio del genio.
Le nostre opere sono propriamente umane, trascendentalmente immanenti, e perciò, l’atto originario della sconfitta della solitudine e del silenzio per mezzo di queste, si ripropone ad ogni “nuovo” istante come contenuto immanente della solitudine e del silenzio dell’universo.


Esposizione collettiva patrocinata dall’Assessorato alla cultura del Comune di Perugia, presso il Centro per l’Arte Contemporanea Trebisonda, Perugia - 20/10-11/11/2007.

Jonathan Capriotti
Francesco Ciavaglioli
Laura De Leonardis
Silvia Di Ruscio
Francesco Farneselli
Ivan Frenguelli
Elisa Fuso
Andrea Michelsanti
Simona Moretti
Valerio Niccacci
Marco Pagnotta
Cristina Nykanen Palazzetti
Paolo Rondelli
Diletta Rondoni
Alessandro Vagnoni



Alessandro Vagnoni

Alessandro Vagnoni

Diletta Rondoni, Cristina Nykanen e Elisa Fuso

Laura De Leonardis e Jonathan Capriotti

Silvia Di Ruscio

Paolo Rondelli

Ivan Frenguelli e Andrea Michelsanti, Valerio Niccacci

Francesco Farneselli e Simona Moretti

Ivan Frenguelli e Andrea Michelsanti, Valerio Niccacci,
Paolo Rondelli, Francesco Farneselli e Simona Moretti

Francesco Farneselli e Marco Pagnotta

Francesco Farneselli e Marco Pagnotta

Francesco Farneselli

sabato 15 settembre 2007

LE REGOLE DELLA TALEA

 
Per questo lavoro abbiamo scelto cinque libri che hanno a che fare con il viaggio inteso come spostamento fisico: Al faro, Virginia Woolf; L’altra parte, Alfred Kubin; Odissea, Omero; Viaggio al termine della notte, Louis-Ferdinand Céline e Sentieri nel ghiaccio di Werner Herzog.
La scelta dei testi non è avvenuta seguendo un criterio logico ma attraverso considerazioni  puramente estetiche, altrimenti sarebbe stato come scegliere a priori la destinazione di un viaggio e calcolare le rotte che si presentano in modo naturale e quindi inaspettato.
Dai libri scelti abbiamo estratto dei frammenti che sono serviti per comporre dei brevi testi, cinque collage, dando origine ad altrettante immagini. Mescolando i cinque libri abbiamo ovviato al problema illustrativo di avere un’unica fonte, un unico stilema immaginativo. Le immagini sveleranno quindi una sorta di simultaneità di Sensazioni che si provano in terra straniera.

Esposizione di cinque stendardi posizionati in altrettante vie della città di Perugia, organizzata dal Comune di Perugia all’interno de’ Le Arti in Città, Perugia - 15/09-14/10/2007.

Jonathan Capriotti
Francesco Ciavaglioli
Laura De Leonardis
Silvia Di Ruscio
Francesco Farneselli
Ivan Frenguelli
Elisa Fuso
David Mattioni
Andrea Michelsanti
Simona Moretti
Valerio Niccacci
Marco Pagnotta
Paolo Rondelli
Diletta Rondoni
Nicoletta Silvestri



- I -

Ora ad un tratto si era accoccolata sull’orlo di un precipizio e aveva cominciato a cantare una canzone: Maledetti gli occhi vostri. Tutti avevano dovuto farle da coro, urlando insieme con lei: Maledetti gli occhi vostri. Nessuno in fondo le resiste alla musica. Non hai niente da fare con il tuo cuore, lo regali volentieri. Bisogna sentire in fondo a ogni musica l’aria senza note, fatta per noi, l’aria della morte. Nel nero totale dell’universo ardono le ruote e arde quel vagone. Inimmaginabili cadute di stelle hanno luogo, interi mondi crollano su se stessi in un punto solo. La luce non può più fuggire,  persino il nero più fondo qui dovrebbe fare l’effetto della luce e il silenzio un effetto di clamore. Il cosmo non è più riempito da niente, è il vuoto più nero che sbadiglia. Sistemi solari si sono condensati in non-stelle. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno all’ironia. Il sole sorse, lasciando il mare bellissimo, nel cielo di bronzo, per dare agli immortali la luce e per darla ai mortali sulla terra che dona le biade.

Immagine realizzata da: Jonathan Capriotti, Laura De Leonardis e Silvia Di Ruscio.



- II -

Per tutto il giorno correva sul mare e furono tese le vele; poi calò il sole e s’oscuravano tutte le vie. I tramonti di quell’inferno africano si rivelavano straordinari. Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come mostruosi assassini del sole. Un immenso bluff. Soltanto che c’era troppo da ammirare per un  uomo solo. Lo circondavano delle cascate artificiali e un parco silenzioso. In questo tempio dovevano essere custodite le cose più preziose dello stato del sogno. Era costruito col materiale più nobile, e con tanta arte che, vedendolo, si aveva l’impressione di un architettura sospesa tra cielo e terra. La disposizione delle pere e dell’uva e le banane con la conchiglia d’osso, rosata sull’orlo, faceva pensare ad un trofeo raccolto dal fondo del mare, al  banchetto di Nettuno, al grappolo di foglie d’uva che pende dalla spalla di Bacco (in certi quadri), tra pelli di leopardo e vibranti torce rosse e d’oro...
Un tavolo mi irrita sempre di più, qui accanto, perchè è apparecchiato, tazze da caffè, piatti e torte, solo che non c’è seduto nessuno. Perchè non c’è seduto nessuno?

Immagine realizzata da: Francesco Farneselli, Andrea Michelsanti e Marco Pagnotta.



- III -

Sussurro di fronde, bellissimo: intorno s’affollano isole molte, vicine una all’altra. La selvosa Zacinto è bassa, l’ultima là, in fondo al mare, verso la notte: l’altra più avanti verso l’aurora e il sole. E poi due scogli: uno l’ampio cielo raggiunge con la cima puntuta: e l’avviluppa una nube livida; e questa mai cede, mai lume sereno la sua vetta circonda, né autunno né estate; né potrebbe mortale scalarlo, né vetta salire, quand’anche i suoi piedi fossero venti e venti le mani: perchè nuda è la roccia, che par levigata. Su questa c’è un fico grande, ricco di foglie, tra le dalie crescevano da soli i papaveri; il prato sventolava d’erba troppo alta, di un verde morbido, intenso, la passiflora s’arrampicava viola. L’ acqua era tutta violetta e azzurrocupa, grigia e gonfia, non più verde e gialla; un sentore di terra caldo e umido, fortemente mescolato all’eccitante odore del sogno. Per quanto vecchie, per quanto degradate che siano, le cose, trovano ancora, non si sa dove, la forza d’invecchiare. Paesaggio ondulato, molto bosco, e tutto mi è così sconosciuto.

Immagine realizzata da: David Mattioni, Simona Moretti e Valerio Niccacci.



- IV -

“Come le nottole nel cupo di un antro divino squittendo svolazzano, quando una cade dal grappolo appeso alla roccia, poi si riattaccano l’una all’altra; così squittendo le ombre andavano insieme. Se una nuvola sembrava più chiara di un’altra ci dicevamo di aver visto qualcosa ma davanti a noi, di sicuro, c’era solo l’eco che facevano i cavalli trottando. L’occhio è attirato sempre e soltanto dalle forme vuote. Sentivo vieppiù il legame comune che c’era in tutte le cose. I colori, gli odori, i suoni, e i sapori erano per me intercambiabili. E allora compresi: il mondo è forza d’immaginazione, immaginazione-forza. Quando non si ha immaginazione, morire è poca cosa, quando se ne ha, morire è troppo. Disse così, il sole calò e sopraggiunse la tenebra: ed essi, andati nella cava spelonca, soffrono l’amore giacendosi insieme. E infine sembrò che l’universo lottasse e si sfrenasse, in una confusione bruta e una sbrigliata lussuria, senza scopo, con sé stesso.

Immagine realizzata da: Francesco Ciavaglioli, Ivan Frenguelli, Elisa Fuso, Paolo Rondelli, Diletta Rondoni e Nicoletta Silvestri.



- V -

Pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano. Un giorno, davanti a una conchiglia, mi resi conto con la massima chiarezza che il suo modo di esistere non era così sordo come avevo pensato fino a quel momento. E presto mi accadde lo stesso per tutto, per il mondo intero. All’inizio le sensazioni più intense mi venivan prima di addormentarmi o subito dopo il risveglio, quando cioè il corpo era stanco e la vita, in me, si trovava in uno stato crepuscolare. Si ha un bel dire e pretendere, il mondo ci lascia molto prima che ce ne andiamo per davvero. Così con le lampade tutte spente, la luna tramontata, e una pioggia sottile che tamburellava sul tetto iniziò un diluvio di immensa oscurità. Mio Dio, ti prego per il sangue di Cristo: fa che la mia fine sia buona. Il tempo va verso l’eternità.

Immagine realizzata da: Francesco Ciavaglioli, Ivan Frenguelli, Elisa Fuso, Paolo Rondelli, Diletta Rondoni e Nicoletta Silvestri.

sabato 26 maggio 2007

SE LEI SI DEGNASSE DI FARMI VISITA


Con la mostra “Se lei si degnasse di farmi visita”, l’associazione culturale Comitato di Salute Pubblica  apre il proprio percorso di lavoro.
L’associazione opera con comunità d’intenti nel riconoscere la qualità di cui l’arte per sua natura necessita, non solo nella “produzione” in se stessa, ma anche nella contemplazione e nella riflessione dell’esperienza estetica.
Ciò che si manifesta non è la cristallizzazione di un pensiero, non la formalizzazione di uno statuto, semmai una raccolta di frammenti ognuno dei quali trasuda ed emana azioni, pensieri di percorsi individuali che già nella loro parzialità costituiscono una traccia, un sentiero e un invito all’incontro.

Esposizione collettiva presso la Galleria Agheiro Arte Contemporanea
Lavagna (Ge) - 26/05-23/06/2007.

Jonathan Capriotti
Francesco Ciavaglioli
Laura De Leonardis
Silvia Di Ruscio
Francesco Farneselli
Ivan Frenguelli
Elisa Fuso
Andrea Michelsanti
Simona Moretti
Valerio Niccacci
Marco Pagnotta
Cristina Nykanen Palazzetti
Paolo Rondelli
Diletta Rondoni



Simona Moretti e Francesco Ciavaglioli

Jonathan Capriotti

Francesco Ciavaglioli

Laura De Leonardis

Marco Pagnotta, Simona Moretti, Francesco Ciavaglioli

Elisa Fuso e Jonathan Capriotti

Valerio Niccacci, Jonathan Capriotti, Elisa Fuso

Andrea Michelsanti

Paolo Rondelli e Cristina Nykanen Palazzetti

Ivan Frenguelli e Silvia Di Ruscio

Diletta Rondoni e Paolo Rondelli

Francesco Ciavaglioli

Valerio Niccacci

Silvia Di Ruscio

domenica 20 maggio 2007

L’Origine delle nostre attività Estetiche di Haris Papoulias

“Noi ci stiamo liberando degli impedimenti di memoria, associazione, nostalgia, leggenda, mito e di tutti i congegni della pittura occidentale.
Creiamo invece cattedrali fuori dal Cristo, dall’uomo o dalla vita, realizziamo immagini fuori da noi stessi, dai nostri sentimenti.
L’immagine che creiamo è prova autoprovantesi di rivelazione, reale, concreta, e può essere compresa da chiunque la guardi non attraverso le lenti nostalgiche della storia”.

Barnett Newman, 1948

L’attività artistica, cioè la teoria e la pratica dell’arte in quanto comunione con il Bello Eterno, per noi è la prima manifestazione di spiritualità in un mondo accecato dalla finitezza dei piccoli piaceri dei beni materiali.

Più che mai i nostri sensi sono bombardati da stimoli pseudo-estetici e la carne sembra che abbia preso il posto della ragione alla guida della nostra vita, noi pretendiamo di sfidare l’infinita molteplicità del sensibile, di dargli ordine e senso attraverso una composizione pittorica, uno spartito di musica, una prosa letteraria. Il nostro scopo più nobile è di rendere la tela, il pentagramma, la pagina scritta, un Universo autonomo, con il suo contenuto in perfetta espressione nella forma più adatta. Tutto ciò, nell’imporci dei limiti materiali, ci svela nello stesso tempo le potenzialità dei sensi che spingendosi verso l’universale, superano istante dopo istante la prigionia del Desiderio e della Morte. In breve, lavoriamo contro il carattere pubblicitario dell’arte volgare dei nostri tempi, perché ormai la pubblicità non ha contenuto; è una forma vuota che cerca di colmare l’Assenza dello Spirito.
Per operare però un tale progetto materialmente, per far sì che il sensibile immediato si elevi in espressione autonoma, cioè in opera d’arte, abbiamo bisogno dello spazio e del tempo spirituali come condizioni del nostro agire. Abbiamo bisogno del ritrovamento-riconoscimento dell’unità originaria e della Quiete da cui scaturisce il nostro primo dovere: l’opposizione e l’inquietudine. Questo spazio e tempo ideale – cioè, non fantastico ma fonte della realtà concreta e origine della nostra visione dello spazio e del tempo fisico – è il luogo dello Spirituale della vita da cui siamo stati strappati via e che l’arte ha lo scopo di riportare in modo mediato sotto i nostri occhi. Da qui l’esperienza quasi religiosa che pretendiamo sia trasmessa dalla contemplazione di un quadro o dall’ascolto di un brano musicale.

Il Comitato di Salute Pubblica è il nostro primo progetto culturale. Obiettivo di questo progetto è quello di esporre valori artistici in pubblico e discutere su di essi. Oggi, forse più che mai, il lavoro estetico è reso inutile, tanto dalle strutture accademiche quanto dalle strutture della società stessa; ciò anziché scoraggiarci ci offre un’opportunità unica: ci rende liberi da meschini interessi e dalla vanità con cui è avvolto ogni atto di carattere sociale.
     L’Estetica oggi, così come la pratica delle Arti, per quel che riguarda il suo rapporto con le masse, è ridotta sostanzialmente in pratica pubblicitaria. Oltre all’incapacità tecnica e alla mancanza di originalità che promuovono inevitabilmente l’illustrazione piuttosto che la pittura, il rumore piuttosto che la musica, l’aforisma piuttosto che il ragionamento, un elemento con cui dobbiamo fare i conti è la deficienza discorsiva sul significato delle arti, cioè la deficienza della Ragione in un’epoca in cui viene di nuovo richiesto dalla gente l’arbitrio, la casualità, lo svago delle caratteristiche individuali. Non si sa davvero se è la tecnologia informatica a far nascere questo atteggiamento, oppure se essa viene semplicemente a dare il suo aiuto decisivo ad una tale concezione e pratica dell’Arte. Accusare la tecnologia della mancanza di contenuto dell’arte contemporanea è una soluzione facile e dannosa perché non tiene conto del problema radicale che vi è alla base: che la concezione dell’Arte oggi è decorativa in modo infinitamente più spregiativo dell’arte decadentista del primo Novecento. E’ decorativa nel senso che, come direbbe Rothko, è rivolta alla “persuasione del corpo” in tal grado che “la presenza dello spirito sarà completamente cancellata” (Rothko, 2004). Sono poche oggi le espressioni della Bellezza che sono in-sé-tramite-e-per-sé. Ciò significa che la Bellezza stessa non appare spesso tra di noi. Quello che vediamo intorno e chiamiamo “bello” è di solito un “bello-per-noi”, non è la Bellezza. E non solo non è la Bellezza, ma ci pone davanti alla povertà delle nostre richieste a quest’arte utilitaria, e di conseguenza, ci svela la povertà dei nostri bisogni spirituali. Pur non essendo la Bellezza Assoluta, il Bello-per-noi poteva essere tanto elevato quanto la necessità spirituale della nostra epoca. L’arte egiziana, pur non raggiungendo la complessità tecnica di cui siamo noi capaci oggi (solo grazie alle macchine) è infinitamente più ricca perché esprime in modo densamente simbolico il bisogno di immortalità dell’uomo di allora. Ma guardando la nostra arte, o ancora di più, ciò che consideriamo bello, ci rendiamo conto che la scoperta di forme infinite con mezzi infiniti non colmerà mai il nostro vuoto spirituale, il nostro contenuto assente. Il Bello oggi è un abbellimento dei volantini per le discoteche, è la spazzatura composta di vecchie vasche da bagno, messe in un angolo di una “mostra d’arte” (!), o i tamburi che suonano le sere sulla piazza della città e che formano il “senso della cultura bella” tra i giovani. Con ciò certo non si vuol affermare che ci servirebbe l’orchestra statale per divertirci ogni sera sulla piazza. Ma proprio perché si tratta di divertimento bisogna distinguerlo da questa sua ingenua congiunzione con il Bello. Rilke diceva che “il Bello è l’inizio del  tremendo” (das Shöne ist nichts als des Schrecklichen Anfang nelle Elegie Duinesi) e Baudelaire che “lo studio del bello è un duello in cui l’artista grida di spavento innanzi d’esser vinto” (Il “confiteor” dell’artista nello Spleen de Paris). E mi riferisco a questi due grandi della poesia moderna solo perché la loro “oscurità” spesso viene evocata gratuitamente da questa cultura trash. In ogni caso, sarebbe inutile parlare per bocca di un certo Dostojevskij, il quale sostiene che la “Bellezza salverà il mondo”; Dostojevskij è troppo umiliante per la nostra “volontà di potenza” ma più che altro ha pochi libri in forma tascabile… Perciò, continuiamo a parlare il linguaggio della nostra “epoca tascabile”: Nietzsche diceva che “l’Estetica sarà l’Etica del futuro”. Infatti, ci sono due possibili punti di vista per vedere l’effettività di una tale affermazione oggi che il futuro è arrivato: a) guai a noi se la nostra etica –secondo la nostra estetica– fosse trash; b) che la vera Estetica, intesa come Discorso sul Bello Eterno, ha in sé l’eguaglianza ontologica con il Bene e il Vero, e in tal caso fare, o semplicemente comprendere l’Arte vuol dire essere nel Vero. Forse il punto a) è l’attualità contro la quale ci dobbiamo opporre, e il punto b) è la Realtà che permane sotto qualsiasi evanescente attualità. Questa nostra certezza, che il Bello è fondamento ontologico della Realtà, che è sinonimo di Essere, ci ricollega storicamente con una linea di pensiero che va dalle Origini della linea chiara, semplice e solare, della civiltà minoica fino all’espressionismo astratto senza nessuna contraddizione risolutiva ma secondo una dialettica vitale che arricchisce sempre di più il contenuto delle nostre espressioni, liberandoci nello stesso tempo dalla pesantezza della forma storicamente sorpassata.
    Per non lasciare spazi a fraintendimenti: non crediamo affatto che la Totalità del mondo della cultura oggi sia di poco valore. Anzi, dopo decenni interi di mostruosità estetica nel Novecento, ci troviamo in una via di continua ascesa verso il recupero della nostra identità. Più comprendiamo il carattere negativo della nostra era, più grande sarà la sintesi futura, e forse qui sarà il nostro piccolo contributo. Già, vivere nello stesso secolo di maestri d’arte come il pittore tedesco Gerhardt Richter, l’attore italiano Carmelo Bene, il musicista americano John Cage, il regista greco Teo Aghelopoulos, per noi è un vantaggio inestimabile, una gioia improvvisa nel mezzo del lutto generalizzato per la perdita dello Spirito, che ci conferma, nonostante la scarsità numerica dei suoi protagonisti, che la Realtà è sempre guidata dall’Idea malgrado ogni ostacolo accidentale posto dall’Esterno e dall’Effimero.